A Steve McQueen bastava uno sguardo

Henri Charrière ha fatto pubblicare in Francia "Papillon"
nel 1969. Un'autobiografia romanzata che è diventata una delle avventure più
celebri negli anni Settanta. Era soprannominato Papillon per via di una
farfalla tatuata sul petto. Un'immagine di libertà e leggerezza che lui non ha
avuto o ha avuto con grande fatica. La sua storia nel 1973 è diventata un film
straordinariamente bello con Steve McQueen e Dustin Hoffman. Il romanzo è
avvincente ed è talmente paradossale da essere quasi tutto vero.
Quasi, perché lo stesso Charrière ne ha parlato come di
qualcosa più o meno reale. Era un uomo sfuggente, pieno di peripezie. Di
mestiere faceva lo scassinatore e non aveva un'aria affidabile. Quando viene
accusato di omicidio si dichiara innocente e lo farà per tutta la vita. La
questione è rimasta irrisolta ma, qualunque fosse la verità, quello che è
accaduto dopo prende il sopravvento. Nel 1931 viene condannato all'ergastolo e
mandato ai lavori forzati in una colonia penale della Guyana francese. Un limbo
del mondo dove sono finiti circa ottantamila detenuti, considerati la feccia di
Francia e banditi per sempre dal paese.
Papillon ci ha passato tredici anni, tentando la fuga nove
volte. Ha subito tutto quello che era previsto dal regolamento, compreso
l'isolamento: una tortura di claustrofobia e silenzio che toccava a chi
scappava e veniva ripreso vivo. Stavi in un quadrato di cella senza vie di fuga
per gli occhi, se non dalle grate altissime al soffitto. Vigeva la regola del
silenzio assoluto. Guai a sgarrare. Charrière ci è finito per due e poi per
cinque anni. Infine è stato confinato all'isola del Diavolo, il luogo degli
irriducibili, uno spuntone di roccia in mezzo al mare, sbattuto da marosi e
circondato dal nulla. Da lì, infine, è fuggito definitivamente, arrivando in Venezuela
dove ha passato il resto della vita. Nel 1970 ha ricevuto la grazia, nel 1973 è
morto. Difficile narrare tutto questo fedelmente. Mi sembra poco importante.
L'effetto di questo racconto duro e tenace è quello di una vita presa a morsi.
Nel 1973 Franklin J. Schaffner – non un regista qualunque ma
l'autore di film come "L'amaro sapore del potere", "Il pianeta delle scimmie", "I
ragazzi venuti dal Brasile" – gira "Papillon", ci sono Steve McQueen nel ruolo
di Charrière e Dustin Hoffman in quello di Dega, un falsario condannato per una
truffa colossale. Passeranno quei tredici anni in una sorta di sostegno
reciproco e amicizia, forte come solo le cose terribili vissute insieme possono
essere. McQueen e Hoffman sono perfetti.
Ci sono sensazioni che vanno lasciate al loro impeto
originario senza cercare di dargli un vestito nuovo. Se non altro perché è
perfettamente inutile. Dunque la versione 2017 di Papillon davvero non serviva.
Il film è diretto da Michael Noer, con Charlie Hunnam nel ruolo di Charrière e
Rami Malek in quello di Dega. La cosa più evidente di questo "Papillon" è la
banalità dello sguardo, aggravata da una confusione narrativa che disorienta lo
spettatore. Ti raccapezzi solo se conosci la storia, ma questo ti innervosisce
ancora di più perché ti ritrovi in un disordine mentale avvilente. Del film
salvo solo le immagini finali di repertorio della vera colonia penale e dei
detenuti, peraltro inserite anche nel film del 1973. Sequenze bellissime,
terribili e toccanti. Che però nel film di Noer, dopo due ore di patimento, ti
sembrano davvero strumentali solo a creare un effetto.
Nella versione di Schaffner vediamo il fiume di condannati
scorrere verso il porto, dove verranno imbarcati per la Guyana. La macchina da
presa scivola sul flusso di corpi e, tra i tanti, inquadra Papillon. Il viso di
pietra, fisso sul percorso, niente lo scompone. Il detenuto accanto gli parla e
lui risponde con un silenzio scavato nella faccia. Papillon tace ma in un
attimo il personaggio è nato ed è indimenticabile. Con tutto il rispetto per
Charlie Hunnam, in lui non c'è l'ombra di una presenza, di un segno vagamente
originale che faccia suo Papillon.
Il fatto è che a Steve McQueen bastava uno sguardo e ti
aveva raccontato il personaggio, tuffato nell'avventura che ti accingevi a
vivere. E soprattutto stavi lì, con il suo viso stampato dentro per sempre.
Annotazioni: Charlie Hunnam lo abbiamo visto l'anno
scorso (2017, ndr) in "Civiltà perduta", nel ruolo dell'esploratore Percy
Fawcett, decisamente molto più efficace. La filmografia di Steve McQueen è
tutta da scoprire e da gustare con dedizione. Per quanto abbia fatto tantissimi
film, è passato come una folgore. È morto a soli cinquant'anni dopo una vita
densa di passione e film, cose che restano.
Sul film "Papillon" di Michael Noer
pubblicato su remweb.it il 29 giugno 2018