Burtynsky: Extraction/Abstraction. Il mondo a cielo aperto

05.01.2025
Salinas #2, Cadice, Spagna, 2013
Salinas #2, Cadice, Spagna, 2013

È un'esposizione di straordinaria bellezza: "Burtynsky: Extraction/Abstraction".
Le immagini di Edward Burtynsky, fotografo con occhi e sensibilità straordinari sul mondo segnato dall'umanità.
La mostra, aperta ancora per pochi giorni all'M9 (fino al 12 gennaio), splende al terzo piano del Museo del '900 di Mestre ed è curata da Marc Mayer. L'ho attraversata venerdì, ed è un'onda anomala, un'immersione nella terra attraverso il cielo. Il fotografo canadese ha dedicato la vita a esplorare il pianeta, mostrando impronte, segni, ferite, voragini, colori dilaganti, lavorio, disastri ecologici, manomissioni di suoli, profondità, acque.
C'è tutto nelle immagini di Burtynsky, tutto quello che il mondo offre e che l'umanità afferra.

Lo shock è trovare la bellezza nelle ferite profonde, rimanere estasiati dai colori, dai segni, dall'invasione sistematica, dallo stravolgimento. Le fotografie sono enormi, mostrano chilometri di superficie terrestre lavorata dai sapiens, dalle civiltà, dai progressi inarrestabili che ci fanno essere quello che siamo e avere quello che abbiamo.
Saline, risaie, coltivazioni. Miniere di metalli, pietre preziose, combustibili fossili. Impianti di smaltimento delle estrazioni di cui sopra. Discariche di rifiuti indifferenziati, componenti elettriche, pneumatici. Fabbriche che, a pensarci, innescano da capo il ciclo di beni, consumi, residui, smaltimenti. Una serie infinita di siti, più o meno superficiali, tutti a cielo aperto, tutti visibili da immensa distanza dal cielo. Luoghi di sfruttamento di materie, risorse, depositi trasformati in un benessere umano.

I visitatori della mostra, davanti alle immense foto di Burtynsky, sanno perfettamente cosa guardano, sanno che il mondo è colmo di miniere, terreni esausti, popolazioni sfruttate, ritmi estenuanti che alimentano tanto la ricchezza quanto la povertà. Tuttavia, il lunghissimo (oltre 40 anni) e minuzioso lavoro di questo artista è capace di inchiodare chi guarda sul dettaglio e sulla complessità del nostro impatto nel mondo. È capace di mostrare le fonti del progresso, i processi per arrivarci, il cumulo di cadaveri lasciati lungo la strada, e riesce a far sentire il livello altissimo di saturazione che impregna il pianeta.
Ci sono miniere di rame, litio e terre rare, oro, diamanti e zaffiri; e ci sono gli impianti di lavorazione degli scarti.
È impressionante, e inevitabile, vedere le sostanze di risulta del diamante (la pietra più dura, preziosa e bella al mondo) diventare fiumi di melma nera; osservare il lavoro di estrazione degli zaffiri dalla terra attraverso una miriade di buchi nei quali, costantemente, i lavoratori (donne, uomini, bambini) rischiano di precipitare e morire; e poi le discariche, grandi come metropoli, chiuse da anni per saturazione, eppure ancora utilizzate. Tra le immagini in mostra ci sono anche quelle dell'immensa miniera di lignite in Renania, dove è in azione il più grande mezzo di terra in movimento al mondo (96 metri di altezza): le riprese di questo deserto in piena Europa fanno parte di un altro importante lavoro realizzato da Burtynsky con i registi Jennifer Baichwal e Nicolas de Pencier nel 2018, il documentario "Antropocene – L'epoca umana", impressionante viaggio visivo sul mondo. Poi guardo l'immagine dello stabilimento di Everett, nello Stato di Washington, dove si costruiscono Boeing, e penso che il nostro sia un ciclo inarrestabile.

Boeing, Everett, Washington
Boeing, Everett, Washington

Lo shock è davvero la bellezza che emana dal disastro. Tutto quello che Burtynsky fotografa è un'estasi per gli occhi: le immagini sono quadri che oscillano tra astrattismo e arte figurativa; sono danze di colori, forme, movimenti sinuosi. La magnificenza rende la realtà più terrificante, più pericolosa, e alza il livello di allerta. Le miniere d'oro e rame sono poesia. Gli sconfinati campi di colza in Cina sono l'emozione di un caldo giorno di sole. Le saline di Cadice, un etereo intrico di sentieri.

Campi di colza, Luoping, Provincia dello Yunnan, Cina, 2011
Campi di colza, Luoping, Provincia dello Yunnan, Cina, 2011

Ci sono però due fotografie che raccontano tracce incontaminate, virtuose, tenaci.
"Muro di Pengah #1" mostra la barriera corallina del Parco Nazionale di Komodo, in Indonesia: la foto coglie per intero la grande struttura naturale nel pieno del suo benessere; un ambiente sano dove l'ecosistema è in equilibrio e vive rigoglioso; un luogo da preservare, sapendo che negli ultimi 50 anni sono scomparse più o meno la metà delle barriere coralline del pianeta.
"Terrazzamenti a riso #3AB", sono le risaie nella Provincia dello Yunnan Occidentale, in Cina, dove da 1.500 anni viene utilizzato un metodo di coltivazione del riso sostenibile, capace di prevenire l'erosione e di favorire la biodiversità dei terreni.

Muro di Pengah #1, Parco Nazionale di Komodo, Indonesia, 2017
Muro di Pengah #1, Parco Nazionale di Komodo, Indonesia, 2017
Terrazzamenti a riso #3AB, Provincia dello Yunnan Occidentale, Cina, 2012
Terrazzamenti a riso #3AB, Provincia dello Yunnan Occidentale, Cina, 2012

Prima di uscire dall'enorme sala, gironzolo, torno sui miei passi, incrocio i pannelli, riepilogo i colori, le forme, i luoghi (sparsi davvero in tutto il mondo), cerco di ricordarli, di tenere traccia delle ferite a cielo aperto, tutte a portata di sguardo eppure inaccessibili agli occhi, ai pensieri, alla normalità che ritagliamo nelle nostre vite. Mi accorgo di quanto siano fatali le due parole scelte per raccontare le fotografie di Edward Burtynsky: Extraction/Abstraction.

Stazione di trasferimento dei rifiuti #1, Scarborough, Ontario, Canada, 2019
Stazione di trasferimento dei rifiuti #1, Scarborough, Ontario, Canada, 2019