Cesare Pavese. Le poesie

01.06.2024

È sempre stata una presenza forte e discreta. Un'impronta lasciata sulla sabbia appena inumidita, abbastanza compatta da non sparire, abbastanza morbida da prendere una forma dolce, senza asperità. Cesare Pavese è per me un narrare lieve e inciso. Da sempre.
L'ho ritrovato da qualche tempo, dopo lunga assenza dalle sue pagine. C'è di tutto in lui: poesia, racconto, diario, pensieri sparsi, epistolario. C'è il mestiere di scrivere, senza sosta, lungo una vita che è stata breve e faticosa.
Di lui si è detto, scritto, pensato tutto e il contrario. Se le parole lasciano segni, quelle di Pavese sembrano linee tracciate da fronde che toccano l'arenile, un po' lo accarezzano un po' lo graffiano. Hanno un peso, a volte sono gravose, altre volano a filo come corpi leggeri e saldi.
I pensieri mi frullano scomposti. Anche perché l'averlo ritrovato mi ha portato soprattutto alle poesie e ai diari ("Il mestiere di vivere" e quel "Taccuino" puntuto a cui si è voluto dare la qualità di "segreto"; lascio questi testi a parte, per altra attenzione).
Tutto è partito da Italo Calvino, dopo la lettura del suo epistolario all'amata compagna Chichita. A quel tempo, l'inizio degli anni Sessanta, Calvino si dedicava alla cura di tutte le poesie di Pavese, edite e inedite, raccolte in volume: "Così sono stato preso dalla passione filologica di seguire la genesi di ogni poesia, e farò in fondo al volume un grosso numero di note, con varianti etc. Sarà la prima volta che si potrà leggere bene le poesie di Pavese, cioè il vero libro in cui c'è tutto Pavese, perché – sebbene queste poesie siano quasi tutte scritte tra il '30 e il '40 – tutti i motivi di Pavese sono lì, e la critica fin'ora ha sempre trascurato il Pavese poeta, perché è un tipo di poesia che non ha niente a che fare con il resto della poesia italiana" ("Lettere a Chichita", Mondadori, pag. 26).
Così è stato. Nel 1962 esce per Einaudi "Poesie edite e inedite" di Cesare Pavese, a cura di Italo Calvino.
Io, presa dal desiderio di ricostruire una mappa, sono andata a cercare la prima edizione del volume. Ci sono bei tomi moderni, compreso quello Einaudi del 2020, introdotto da Tiziano Scarpa. A esagerare li prenderei tutti, mi accontento di questo e di quello un po' ingiallito, copertina rigida, telata, sovracoperta con particolare di Van Gogh, curato da Calvino, trovato su eBay, ricevuto accompagnato da un post-it incollato alla copertina che diceva "grazie", scritto a penna.
È un "grazie" che rilancio, per quell'edizione retrò, i colori virati dal tempo, il profumo delicato di carta datata tenuta su scaffali colmi; grazie alla persona sconosciuta che con cura l'ha conservata e spedita.

Canzone, 10-12 dicembre 1931
Canzone, 10-12 dicembre 1931

Parto da qui, dalle poesie.
Prendono un'ampia parte della vita di Pavese, dal 1931 con "I mari del Sud", al 1950 con "Last Blues" scritta pochi mesi prima di morire (a Torino, il 27 agosto). In tutto 129 testi in versi che, come per ogni altro scritto, raccontano la vita, l'animo, il mondo di Cesare Pavese.
Ogni cosa per frammenti. Istanti, stagioni, luoghi, epoche, venti di guerra e di pace. Tutto passa nella sua penna in rivoli di appunti, versioni, varianti. Le minute che Calvino scartabella e studia con entusiasmo e passione per l'amico, sono piene di schegge vissute, sognate, odiate, amate.
Cesare Pavese era un uomo tormentato, colmo di angoli bui e angusti, spaventato, a tratti esaltato, incantato come un bimbo; molti amici e colleghi, di lui pensavano questo: che fosse un eterno fanciullo, incapace o caparbiamente deciso a non crescere.
L'unica cosa che si può fare per provare a venirne a capo è leggerlo, in tutte le sue forme. E leggere le parole di chi lo ha conosciuto, gli ha voluto bene, ha lavorato con lui. Fra tutti Italo Calvino e Natalia Ginzburg che con Pavese hanno condiviso pezzi di vita, stanze e scrivanie alla Einaudi, parole da scrivere, altre da valutare, correggere, curare.
Anche a loro in qualche modo Cesare Pavese sfugge, come sfugge ogni persona che fugge, vuole restare e tuttavia fugge.
Nei tempi in cui la vita e gli scritti di Pavese sono stati sezionati, radiografati, giudicati, vilipesi, chi lo conosceva bene e allo stesso tempo comprendeva solo in parte il suo animo, gli amici insomma, erano con lui. Chi in silenzio, chi lottando a viso aperto a colpi di parole.

Creazione, gennaio 1935
Creazione, gennaio 1935

Le poesie di Cesare Pavese hanno tutti i caratteri della sua esistenza. Come ha scritto Calvino, nelle poesie ci sono tutti i motivi di Pavese; una poesia sostanziosa e fragile, volatile.
C'è la sostanza del mondo, la gioia e la sofferenza che procura; ci sono stati d'animo, abissi e risalite, costrizioni e rabbia; c'è una continua ricerca di sé, degli altri, c'è il rapporto con le origini, quello con amici, parenti; c'è il tempo del confino; lo sconfinato mondo femminile, anelato, incompreso, sfiorato. Ci sono terra, luce, stagioni, mutamenti, quello che resta sempre uguale.
Italo Calvino in quella edizione di poesie edite e inedite del 1962, ricostruisce a fine volume una preziosissima mappa dei testi. La genesi di ogni poesia è catalogata, ponderata, approfondita. Un lavoro minuzioso fatto sulle minute dell'autore.
Pavese non buttava niente, conservava ogni scritto, breve o lungo, pensieri appena appuntati o sviscerati; versioni diverse dello stesso testo.
Il giacimento prezioso di uno scrittore e di un uomo che non rinnegava nulla di sé. Nella passione e nella confusione di esistere, Pavese temeva il buio ma non la morte, né temeva le contraddizioni della sua persona. Nel suo essere schivo al mondo, cercava solitudine e contatto, materia e spirito.
Le poesie dicono di corpi, vita, morte. Una vita breve, in un corpo fragile che guardava la morte dritta negli occhi.

Estate, 3-10 settembre 1940
Estate, 3-10 settembre 1940