Homo Faber è The Journey of Life

Il viaggio della vita, dalla nascita all'aldilà.
All'Isola di San Giorgio c'è la terza edizione di Homo Faber.
Per celebrare l'arte dell'artigianato nel mondo. Fino al 30 settembre.
Il titolo è movimentato come la mappa visiva, sensoriale, materiale che
l'esposizione offre: "The Journey of Life" inizia all'alba dell'esistenza umana,
attraversa stagioni, stati d'animo, orizzonti, possibilità, e si affaccia oltre
la morte, in dieci tappe: Nascita, Crescita, Celebrazione, Patrimonio, Amore
(corteggiamento) e Amore (unione), Viaggio, Natura, Sogni, Dialoghi, Aldilà.
La direzione artistica dell'edizione 2024 è del
regista Luca Guadagnino e dell'architetto Nicolò Rosmarini, da un'idea di
Hanneli Rupert, vicepresidente della Michelangelo Foundation for Creativity and
Craftsmanship, l'istituzione che cura Homo Faber in partenariato con Fondazione
Giorgio Cini e Fondazione Cologni dei Mestieri d'Arte.
Un'immersione nella bellezza, non una circostanza puramente
estetica, ma l'unione di forma e contenuto: l'armonia dell'essenza che prende
senso nelle linee, o il loro contrasto.
Il viaggio ha una mappa precisa, definita da luoghi e stati
d'animo; può sembrare una facilitazione, per me è stata una sfida.
Il venire al mondo di esseri e cose si muove in una progressione di esperienze,
saperi, pause, riflessioni, sentimenti, gusti, elevazioni, cadute, mistero, alternanza
di notte e giorno. Una miriade di punti sulla mappa dell'esistenza, tracciati
per il solo fatto di vivere, anche senza pensarci, senza la consapevolezza che
il viaggio nel mondo si compone di tensioni verso conoscenza, scoperte,
emozioni, pensieri, azioni, desideri, sorprese, stordimenti.
Sono più di 800 gli oggetti d'alto artigianato messi in
mostra e raccontati in modo performativo, come a dire che gli attrezzi,
necessari o superflui, raccontano il lavorio dell'esistenza, non sono statici
ma rappresentano, connettono, partecipano, cambiano. Nel movimento, esteriore e
profondo insieme, questi oggetti diventano propedeutici all'arte.
Sono strumenti d'uso, arredi, accessori, complementi di pura contemplazione, da
indossare, esporre, poggiare, trasportare, utilizzare, capaci di vivere per sé
stessi e creare socialità.
Dunque, raccontare Homo Faber ha più a che fare con le
sensazioni che con la descrizione. Un'esplorazione dell'isola in dieci stazioni
di posta, fino all'aldilà, luogo indefinito, aperto alle interpretazioni,
compresa l'idea della sua assenza.
La Nascita sta nel Chiostro del Cipressi. Venire al
mondo è un azzardo, una contingenza, qui finemente tessuta e ricamata in 60
pannelli (di altrettanti artigiani del mondo) appesi nel portico a quadrilatero.
Ogni riquadro è un tassello del Gioco dell'Oca. Nel passatempo, nato in Italia
in pieno Rinascimento, si tirano i dadi per procedere, fermarsi, tornare
indietro, ripartire, Qui no. Si tende verso la meta con lo sguardo, si procede,
arretra, riparte, per immagini. In ogni caso, siamo cascati sulla terra.
La Sala adiacente al Chiostro dei Cipressi accoglie la Crescita.
Sono i giochi dei bambini e dei grandi. Una miriade di oggetti mescolati che
oscillano tra vintage e innovazione. L'infanzia è il luogo dove impariamo a sperimentare,
dove capiamo che sperimenteremo per il resto della vita. Automobiline, flipper,
soldatini di legno, giochi da tavolo, caleidoscopi, oggetti da smontare,
contemplare, modificare, per inventare o simulare la realtà.
Fare esperienza apre la via alla consapevolezza di sé e del
mondo. Una circostanza mutevole: da una parte si fissano orizzonti, dall'altra si
spostano. In questo movimento la vita si rafforza, si definisce, diventa
rituale. La Celebrazione mette in scena i riti: è piazzata nel Cenacolo
Palladiano, dove trionfano "Le Nozze di Cana" di Paolo Veronese, dipinto
commissionato dai monaci benedettini dell'Abbazia di San Giorgio nel 1562 (l'originale
è finito al Louvre; in isola campeggia a parete un perfetto clone digitale del
dipinto). La stanza è allestita con un enorme tavolo a specchio, imbandito da oggetti
di convivialità: piatti, posaterie, calici, coppe, cristalli di ogni tipo,
accessori da pranzo, cena, merenda, moltiplicati dalla superficie, al punto che
dalla tavola si alza un frastuono, come se i commensali fossero intorno a
partecipare e condividere.
In questa progressione, gli oggetti raccontano come ci
definiamo nel mondo, i limiti che mettiamo, le esperienze accumulate e le regole.
È il nostro oscillare tra libertà e confini, una dicotomia, un conflitto,
un'opportunità.

Alla tappa numero quattro rallento, mi fermo, rifletto. La
Stanza delle Fotografie accoglie il Patrimonio. Parola, idea alla quale
non mai dato troppa attenzione. Ho esitato soprattutto con i pensieri, nei
giorni a venire, dopo aver attraversato la mostra, dopo aver ascoltato gli
interventi dei curatori e le parole di contorno.
Nella Sala delle Fotografie la Fondazione Cini espone
le immagini che documentano il restauro della sede. Il patrimonio è ciò che
possediamo. Nel trionfo della materia messo in scena da Homo Faber, in questa
stanza vedo un passaggio, uno scarto: è documentato il recupero patrimoniale di
San Giorgio. Mi chiedo cosa sia un patrimonio. Quello inteso dai curatori di
Homo Faber sono il sapere e le competenze tramandati dalle tradizioni. Mi
sembra una bella eco dentro questa stanza. Gli oggetti poggiati sui ripiani risuonano
con il montaggio di immagini e filmati, stesi sulle pareti e sul soffitto da
Luca Guadagnino. Documentano il lavoro di aziende tradizionali colme di
esperienza: l'effetto è una sala cinematografica tridimensionale, un racconto
per immagini. È in questa narrazione che sento lo scarto tra il peso materiale della
vita che viviamo e la parte intangibile di noi, parte enorme, non
quantificabile. Varcare questa soglia mi pare essenziale: capire la differenza
tra l'accumulo di oggetti e l'accumulo di saperi, esperienze, emozioni. Forse
solo così si entra nelle stanze dell'Amore.

L'Amore qui rappresentato è declinato in
corteggiamento e unione. Gli oggetti sono finissimi. Nella Sala Bianca, la fase
di avvicinamento: splendono fiori, farfalle, lavorazioni minuziose e preziose
per adornare e raccontare la bellezza; spille, vasi, intrecci, abbagliano di
pietre preziose lavorate e montate. Nella grande Sala degli Arazzi ci sono scrigni,
fini gioielli, tessuti: l'unione danza tra sensualità, erotismo e incanto. L'amore
è questo ed è di più. È carne, corpo, tatto, silenzio, desiderio, abnegazione.
Gli oggetti brillano e oscillano, rimbalzano tra terra e aria. Tuttavia, il
varco è attraversato. Da qui in poi la vita perde certezze, conquista spazio.
Il Viaggio è estensione nel mondo e dentro di noi.
Sta nel Padiglione delle Capriate dove si incrociano mappe, globi, strumenti di
navigazione. Sembra di sentire venti a favore e contrari, scafi che fendono l'acqua,
ali che solcano i cieli. Tutto quello che abbiamo attraversato fin qui, prende
velocità, immaginazione. Nessun viaggio è possibile senza immaginazione. Possiamo
viaggiare in molti modi, possiamo viaggiare sempre.
La stanza della Natura è la Ex Tipografia. La sala sembra una caverna
lavorata, dove la materia selvaggia, cruda, spontanea, prende forma nel
confort. Desideriamo stare bene negli spazi che abitiamo, colmi di armonie
vegetali, minerali, terrose. Ma l'incontro tra umanità e natura implica sempre
un adattamento, una forzatura che spesso riduciamo a un conflitto doloroso. La
chiave d'accesso dovrebbe essere l'armonia tra i corpi, tra forma e sostanza,
natura e cultura.
Inevitabilmente si arriva ai Sogni. Lo spazio è la
magnifica Piscina Gandini, un luogo incantato di suo: è la piscina coperta che
ai tempi accoglieva acqua, tepore, suoni squillanti, tuffi, languore a bordo
vasca. Nei sogni l'acqua è primordiale, rimbalza l'umanità al ventre, è
amniotica. Nell'allestimento è un filo, una superficie liscia al colmo della
piscina, sulla quale fluttuano manichini flessuosi, vestiti di abiti aderenti
in maglia; corpi incappucciati, senza volto, senza distinzione se non le variazioni
cromatiche degli abiti e delle luci tutte virate in rosso. Ai lati teorie di
maschere da tutto il mondo, tradizionali, rituali, teatrali. Nel sogno le
maschere coprono e svelano lati di noi, ci tengono sospesi tra la vita e la
morte, tra il tempo e l'assenza.
Giro e rigiro nel salone, guardo l'esercito di corpi a filo d'acqua, cambio
prospettiva, ad ogni scorcio mi arrivano addosso le maschere. Non so se questo sia
un bel sogno. È la parte del viaggio in cui la terra sotto i piedi è persa. Spaventa,
tocca affidarsi e attraversare.
Si arriva ai Dialoghi. Mi dico che a
sperimentare le paure, il disorientamento, si ritrova forse una connessione al
mondo. Nella sala al primo piano della Scuola Nautica ci sono gli artigiani che
lavorano il cuoio, cuciono, dipingono pelli conciate e lavorate, montano
meccanismi di orologi, creano oggetti che riconnettono la vita alla ritualità.
Dopo il sogno c'è il risveglio, forse la saggezza, un tempo prezioso e lento.
Nella stessa ala della Scuola Nautica, accanto, si arriva all'Aldilà. Nella
lingua di Homo Faber è "Afterlife": un dopo che ognuno immagina e sperimenta
come crede. Il rito, la celebrazione, diventano la rappresentazione di noi
fuori dal tramestio. Attraversate e accumulate esperienze ed emozioni, prende
forma la memoria. Gli oggetti sono sacri, magici, non necessariamente
religiosi. Altari, sculture, vasellami tengono in vita il ricordo di ciò che è
stato o poteva essere. L'aldilà è la massima incertezza, per alcuni è tutto,
per altri è nulla. L'umanità lo mette in scena dalla notte dei tempi. Questa è
l'ultima tappa di "The Journey of Life". Penso alla prima: era il gioco
dell'oca, un movimento circolare.
Non ho dimenticato un istante che Homo Faber accoglie e connette le creazioni dell'alto artigianato nel mondo. Tuttavia è un viaggio personale di esplorazione: ogni oggetto, ogni artigiano presente nelle diverse stanze a mostrare la manualità di quelle creazioni, a me ricorda che le costruzioni umane sono la rappresentazione del vivere. Vivere è stare nel mondo con un bagaglio di strumenti e sensazioni. Se questo bagaglio sia leggero, pesante, intenso, piccolo o grande, sta a noi.
Sogni, Piscina Gandini, Alaïa, Francia