L’arte è una forma incompiuta

Nel 1964 Alberto Giacometti ha poco più di sessant'anni e
vive a Parigi. Nella sua casa-atelier si divide tra tormento creativo, la
moglie Annette e Caroline, amante e musa dei suoi ritratti femminili alla quale
è legatissimo. Anche ad Annette è legatissimo, lei è la dirimpettaia dei suoi
tormenti, il punto fermo per tornare a casa dopo aver girovagato di sera nei
bistrot o come un funambolo nell'affanno. Più di tutto, però, Giacometti è
legato alla forma, quella delle sculture e dei quadri, eternamente provvisori,
pronti a cambiare in ogni istante e a farlo precipitare nel dubbio,
nell'inquietudine.
Nel settembre del 1964 a Parigi c'è anche James Lord,
giovane scrittore americano, amico di Giacometti. L'artista svizzero gli chiede
di posare per un ritratto su tela. Ci vorrà poco, un giorno, forse due.
Giacometti è incuriosito dalla faccia perfetta di Lord, perfetta ma così
diversa a seconda della prospettiva. La faccia di un criminale o di un pazzo.
Lo scrittore accetta, da lì a due tre giorni dovrà tornare a
New York, ma va bene, gli piace l'idea di posare per l'amico, artista geniale
all'apice del successo. Perché Giacometti in quel momento è venerato nel mondo
dell'arte. Celebrato, amato, ricercato. Le sue opere viaggiano e splendono come
merce preziosissima. La sua fama è direttamente proporzionale al tormento, alla
deriva fisica e interiore che lo trascina in un vortice di eccessi e gesti
distruttivi. Qualcosa che lo tiene in pugno e non lo acquieta ma che gli dà la
piena consapevolezza che un'opera, qualsiasi opera, non sarà mai compiuta.
Lo dice a James che non terminerà mai il ritratto. Non c'è
alcuna possibilità di dare l'ultima pennellata. Ma due giorni basteranno a dare
la forma. Così, in un gesto di fiducia reciproca, iniziano a lavorare. E i
giorni alla fine saranno diciotto. Diciotto sedute che diventeranno un diario
di viaggio scritto da Lord, Un ritratto di Giacometti.
"Final Portrait" del regista Stanley Tucci racconta quei
diciotto giorni. È un piccolo film, girato quasi esclusivamente con una camera
a spalla. Non è un dettaglio, è il segno linguistico prevalente, l'espressione
di tutto quello che Giacometti rappresenta. La cinepresa si muove seguendo i
gesti dell'artista, il vagabondare delle sue pupille inquiete, gli anfratti
dell'animo, la provvisorietà delle mani sulla tela e sulle sagome filiformi in
creta, plasmate di continuo e di continuo messe a riposo, avvolte in teli
bagnati per non lasciarle precipitare in una forma definitiva, prima che quella
transitorietà si fissi nel bronzo.
In quei diciotto giorni Lord sposta la prenotazione del suo
volo più e più volte e Giacometti stende il ritratto e lo cancella senza sosta,
ricominciando sempre da capo. Alcune sedute durano pochi istanti, il tempo di
due pennellate, e poi via, a bere a passeggiare a lasciarsi trascinare da
Caroline e poi da Annette, da un compratore, dal gallerista o da una qualunque
disperazione che gli prende il respiro.
James sente quanto tutto sia prezioso e provvisorio e cerca
di trattenere ogni minimo frammento. Ad ogni seduta fotografa il ritratto prima
che venga distrutto, annota le sue conversazioni con Alberto, sapendo che sono
istanti irripetibili pronti a volare via, e capisce che dovrà dare un finale a
tutto questo. Dovrà farlo lui, perché l'amico non lo sa e non lo può fare. Soprattutto non vuole, perché dare
definizione all'opera è come ucciderla, lasciarla morire, cacciarla dal suo
paradiso di estasi e tormento.
È magnifica la trama che questi due riescono a delineare.
Attraverso la ritualità delle pose - la sedia sempre in quel punto, stessa
posizione del corpo, stesso abito, inclinazione del mento, apertura degli occhi
- prendono vita conversazioni, silenzi, gesti, indefinibili pensieri. E si
dipana la personalità di un poeta della forma, più che mai presente oggi a
dispensare sostanza e spirito dell'arte.
Il ritratto resterà un frammento in divenire, ma saldo sulla
tela. Lord ripartirà per New York e non rivedrà più Giacometti. Si scriveranno
e, nei pochi anni di vita dello scultore, resteranno amici indivisibili anche
dalla più profonda distanza. Giacometti continuerà fino alla fine a vivere di
forma, tormento e meravigliosa incompiutezza.
Annotazioni: non ho notizie di una riedizione in Italia del libro di James Lord "Un ritratto di Giacometti", pubblicato da Nottetempo. Ma forse a spulciare librerie si trova. Alberto Giacometti è morto nel 1966. Nel film ha il volto di Geoffrey Rush che, oltre ad essere di straordinaria bravura, ha una somiglianza fisica incredibile con l'artista. James Lord è interpretato da Armie Hammer che abbiamo visto nel film di Luca Guadagnino "Chiamami col tuo nome" nel ruolo di Oliver.
Sul film "Final Portrait" di Stanley Tucci
pubblicato su remweb.it il 16 febbraio 2018