La vita di Marc Chagall

"La mia vita", autobiografia trasognata di Marc Chagall l'ho
scoperta tempo fa, girando per le sale della mostra "Chagall. Il colore dei
sogni", allestita al Candiani di Mestre.
La mostra mi ha colpito senza eccessi, se non per le opere dell'artista (la tela
"Rabbino di Vitebsk", alcune altre dense del suo immaginario, le illustrazioni
per la Bibbia commissionate a Chagall da Ambroise Vollard, le tavole grafiche
per le favole di La Fontaine), mescolate a quelle dei movimenti intorno a lui.
Tra un allestimento e l'altro, spiccavano però i testi alle pareti, presi dalla
narrazione di sé che Marc Chagall ha scritto in lingua russa tra il 1921 e il
1922, "La mia vita" appunto, uscita nel 1931 a Parigi nella traduzione francese
fatta dalla moglie Bella Rosenfeld; e in nuova edizione con alcune modifiche
nel 1957. In Italia è pubblicata da SE (con fatica l'ho trovata, non mi pare
sia contemplata una ristampa, ma lo spero).
L'autobiografia è accompagnata da una serie di disegni composti dall'artista
durante la stesura. Tratti di varia natura, stilizzati, accennati, con scene
di vita, rappresentazioni di sogni, la traccia di ricordi, così come sono apparsi.
Pensando alla lunga vita di Chagall (nato nei pressi di Vitebsk, in
Bielorussia, nel 1887 e morto a Saint-Paul-de-Vence, in Provenza, nel 1985), "La
mia vita" è un racconto davvero breve. Però è poderoso, pieno di dettagli,
immagini mostrate in parole che dipanano il carattere, gli affetti, la miriade
di ricordi, tutti affastellati e stesi sulla pagina con la stessa tentazione
onirica che anima la sua arte.
Per cominciare, la notte in cui Marc Chagall nasce, un
gruppo di cosacchi attacca il paese e le case vanno in fiamme. Tutto brucia
mentre sua madre partorisce, lui viene al mondo e il mondo brucia.
"In sostanza, - scrive - sono nato morto".
Da quell'incendio, dal suo venire al mondo spericolato e
tragico, ha preso forma la vita di uno dei più grandi artisti del Novecento.
Plastico, onirico, libero, allo stesso tempo ancorato alle origini del suo
mondo.
Tra parole e immagini, nel libro passano l'impero russo di fine Ottocento,
la rivoluzione del 1917 (alla quale Chagall partecipa), l'impero che ne consegue, e soprattutto l'intelaiatura
forte della cultura ebraica. È l'aria che respira, l'educazione che riceve, sono
i riti del padre, del nonno, della comunità yiddish stretta intorno. Tutte forme
del suo immaginario che riempiono le tele, i racconti visivi, i disegni realizzati per la
Bibbia (lo considera il testo più avvincente), le simbologie che legano umanità,
natura, sogno.
"Tutti i sabati zio Neuch indossava un tallith, uno
qualsiasi, e leggeva la Bibbia ad alta voce.
Suonava il violino, come un calzolaio.
Il nonno lo ascoltava e sognava.
Solo Rembrandt avrebbe potuto capire quel che pensava il
vecchio nonno, macellaio, commerciante, cantore, mentre suo figlio suonava il
violino davanti alla finestra, davanti ai vetri sudici, coperti di gocce di
pioggia e di ditate". (pag.17)
Leggendo pare di stare nelle tele, a scavalco tra terra e cielo, com'è in tanti suoi dipinti e disegni. Anche i colori si vedono, come fossero buttati negli occhi del lettore; e le ombre, le sovrapposizioni, gli accostamenti strani e vivaci.
"Dietro di noi viveva un carrettiere.
Lavorava insieme al suo cavallo. Il suo bravo cavallo trascinava bene o male
dei pesi. Ma era soprattutto il carrettiere a trascinare lui.
Era alto e magro, più alto del suo cavallo, più lungo della
sua carretta.
Seduto lassù, con in mano le redini e la frusta, pareva al
timone di un battello a vela. Ma niente vento." (pag. 39)
Poco più avanti, dalla cucina della famiglia di fornai che vive
vicino alla sua casa, balugina una luce calda e "le ceste si riempivano
rapidamente di croissant onesti".
Ecco, i croissant sono onesti, a me pare meraviglioso, e sembra
di sentirne la fragranza quando il giovane Marc di primo mattino va a prenderli.
Chagall all'inizio degli anni Venti era già Chagall, quello che da Vitebsk va a San Pietroburgo per frequentare l'accademia, poi a Parigi nel 1910 per immergersi nell'arte, nei movimenti e nelle avanguardie.
"Avevo l'impressione che noi vagassimo ancora sulla
superficie della materia, che avessimo paura di tuffarci nel caos, di spezzare,
di rovesciare sotto i piedi la superficie usuale.
Il giorno dopo il mio arrivo sono andato al Salon des Indépendants.
L'amico che mi accompagnava mi aveva avvertito ch'era impossibile visitarlo
tutto in un solo giorno. Lui, per esempio, ogni volta che lo visita, ne esce
spossato.
Compatendolo nel profondo del cuore e seguendo il mio metodo, attraversai correndo
tutte le prime sale, come se fossi inseguito da un torrente, e mi slanciai
verso quelle centrali.
Così risparmiai le forze.
Penetrai nel cuore della pittura francese del 1910.
Mi ci sono aggrappato". (pag. 107)
L'idea che mi sono fatta è che, ovunque Chagall sia andato, il mondo nel quale è cresciuto, dal quale è fuggito, al quale è tornato (nel 1914 rientra a Vitebsk e va a Mosca, con Bella e la loro piccola Ida, fino al 1923), per poi attraversare l'Atlantico e stabilirsi in America (lontano dall'Olocausto, fino al 1948), tutto il mondo della sua infanzia e adolescenza, la famiglia, la cultura ebraica, densa di Torah, di riti ai quali era refrattario ma che guardava e assaporava, ogni cosa sia rimasta intatta, aderente ai suoi occhi, ai tratti, al vivere.
"Avete visto il nostro fiume, la Dvina, nei giorni di festa
d'autunno?
Le cabine sono smontate. Non si fanno più bagni. Fa freddo.
Lungo le rive gli ebrei scrollano nell'acqua i loro peccati. Nell'ombra, un
canotto galleggia. Si ode il rumore dei remi.
Nell'acqua profonda, a testa rovesciata, fluttua lieve l'immagine riflessa di
mio padre.
Anche lui si scuote dai panni il pulviscolo dei peccati".
(pag. 41)
Ogni luogo attraversato da Chagall (provvisorio, amato, cercato,
tollerato), è stato per l'artista uno spazio e un tempo fatto di densità. Dalla
Russia all'America alla Francia, ha lavorato su piani intrecciati: pittura, disegno,
litografia, incisione (nel 1948 la Biennale di Venezia gli conferisce il Gran
Premio per l'incisione), le decorazioni di una quantità di vetrate sparse per
la Francia, scenografie per grandi opere e balletti progettate negli Stati
Uniti e in Europa, oltre al fiorire di mostre personali e collettive nel mondo.
Chagall è un fiume inarrestabile di creatività, desiderio, colore, nostalgia,
ricordo. Ogni sensazione passa dalle mani e finisce stesa sopra i materiali più
vari, nelle forme più varie.
Dopo aver letto "La mia vita", questo spicchio di anni raccontati fino al 1922 sembra
racchiudere passato presente e futuro; nella corposità di eventi, riti, ricordi,
prende senso la lunga fioritura dell'arte di Marc Chagall; anni baluginanti e
lontani, essenziali e intatti.
"Penso più volentieri ai miei genitori, a Rembrandt, a mia
madre, a Cézanne, a mio nonno, a mia moglie.
Sarei andato in Olanda, nel sud dell'Italia, in Provenza, e spogliandomi degli
abiti, avrei detto:
«Miei cari, vedete, sono tornato a voi. Sono
triste qui. La sola cosa che desidero è fare dei quadri e ancora qualche cosa…»
(pag. 179)
[…]
Queste pagine hanno lo stesso senso di
una superficie dipinta.
Se nei miei quadri ci fosse un nascondiglio, potrei infilarvele…". (pag. 181)