Le lezioni di Carlo Rovelli

"Per una ipotetica vista acutissima che vedesse tutto non ci sarebbe tempo «che scorre» e l'universo sarebbe un blocco di passato presente e futuro. Ma noi esseri coscienti abitiamo il tempo perché vediamo solo un'immagine sbiadita del mondo".
Se leggo e rileggo le "Sette brevi lezioni di fisica" di Carlo Rovelli, non posso che pensare e sentire fortemente che la fisica, lo studio del mondo e dell'universo tutto, sono quanto c'è di più prossimo alla filosofia e a un sapere meditativo, lento, riflessivo. Il balzo, travolgente come una corsa in bici a perdifiato, come il primo tuffo nel mare, il vento sulla cima di una scogliera, la fiamma che esce dal legno, quel balzo che Rovelli ci porta a fare dalla Relatività di Einstein alla Teoria dei quanti e da lì all'universo intero, è una specie di meditazione profonda sulla natura dell'uomo e delle cose. E c'è un silenzio dentro le parole che deve per forza assomigliare al silenzio dello spazio. Ci sono un brusio e una risonanza che devono necessariamente appartenere a quello stesso spazio. E al tempo che noi abitiamo.
"La natura è la nostra casa e nella natura siamo a casa. Questo mondo strano, variopinto e stupefacente che esploriamo, dove lo spazio si sgrana, il tempo non esiste e le cose possono non essere in alcun luogo, non è qualcosa che ci allontana da noi: è solo ciò che la nostra naturale curiosità ci mostra della nostra casa. Della trama di cui siamo fatti noi stessi. Noi siamo fatti della stessa polvere di stelle di cui sono fatte le cose e sia quando siamo immersi nel dolore sia quando ridiamo e risplende la gioia non facciamo che essere quello che non possiamo che essere: una parte del nostro mondo".