Notte

La strada è la stessa, eppure a tratti stento a
riconoscerla.
Guardo sempre l'orologio quando parto, un'abitudine che devo
a mio padre.
Ricordo i grandi viaggi notturni dell'infanzia con papà ala
guida che sfidava il tempo. Il buio trasformava quelle interminabili ore in un
passaggio magico; le ombre della sera coprivano i profili familiari di casa e
la luce del mattino seguente schiudeva allo sguardo il profilo del mare e degli
avi, giù giù, molto lontano da ogni certezza.
La vacanza cominciava con questo piccolo miracolo che
segretamente spiavo in quella navigazione notturna.
Intorno cadenzava il respiro dei miei fratelli addormentati.
Io non potevo. Era quasi una missione vegliare sullo sguardo attento di mio padre, che sulla sua stanchezza
costruiva la magia.
Sapeva che non dormivo - o mi piaceva crederlo - ma se davo
un segno di presenza mi chiedeva una tazza di caffè, quel caffè buono e
profumato che avevamo fatto a casa e tenuto al caldo nella borsa termica.
Caldo, perché il caffè è buono solo fumante e con la fragranza riposta per
essere goduta.
Lo versavo e mi inebriavo del suo aroma, poi gli porgevo la
tazza e quando la restituiva ne versavo un po' per me.
In questa veglia rituale aspettavo l'alba che arrivava ormai
vicino al mare tra le colline aspre del sud e quell'odore di olivo che ha sempre
invaso il silenzio della mia oscurità. Allora emergeva la sua voce ad
annunciare l'aurora e quasi per me non era l'alba se lui non lo diceva.
Poi il sole faceva breccia sugli sguardi e sulla stanchezza;
mostrava la magia di quella traversata e la spezzava al risveglio del mondo.
Su questo silenzioso passaggio notturno ha preso forma la mia
presenza...
Ora guido io la macchina, non verso quella terra così
lontana ma sempre a sud.
Il viaggio si ripete ritmicamente, i paesaggi sono ormai
familiari, a tratti irriconoscibili.
È la mente a portare quei luoghi in nessun luogo. Viaggio da
sola, non faccio mai tappa, non spezzo la magia, la assaporo d'un fiato.
Solo, guardo sempre l'orologio prima di partire.