Ongaro col vestito bianco

Scartabellando tra le storie molto amate ho ritrovato "Un uomo alto vestito di bianco" di Alberto Ongaro. Se penso alla scrittura come intreccio, come luogo dove dipanare la parte avvincente della vita, muovere personaggi dentro stanze, strade, città, parti di mondo, ecco Ongaro è uno degli scrittori che più mi stringe a sé. Insieme a Georges Simenon, Raymond Chandler, Fruttero & Lucentini. Ci sono molti altri scrittori che avvincono per gli intrecci, nomino questi perché nel mio immaginario, antico e più recente, sono accomunati dal gusto per la dimensione noir. Che da sola certo non basta a rendere un romanzo trascinante, ma diventa un luogo dove tutto è possibile quando lo scrittore maneggia l'intreccio giallo come il pane quotidiano, fragrante, profumato, ben tagliato. Alla scrittura di Alberto Ongaro mi sono avvicinata per via di "Rumba" e "Il ponte della solita ora". Ecco, scartabellando le pagine di questi libri ci si accorge che sotto la scorza del noir, più o meno spinto, c'è un mondo brulicante di esistenza. Ci sono desideri, patimenti, avventure fisiche e mentali che sono l'anima degli autori stessi e della vita. Il Philip Marlowe di Chandler è un eroe amaro, abituato a risolvere casi sì, ma sfinito, disilluso, solitario. Lo stesso vale per il Maigret di Simenon, con tutto che ad aspettarlo a casa ha una moglie che gli tiene in caldo la cena. E vale anche per i personaggi che si agitano intorno a questi eroi metropolitani e stanchi. Singapore, Venezia, Parigi, Los Angeles, Torino sono luoghi incantati e brulicanti di umanità vera. C'è qualcosa di pastoso e magico nella fantasia di Fruttero & Lucentini, qualcosa di malinconico e seducente in tutti questi magnifici seduttori di sguardi. Se ne stanno a guardare dalle pagine dei loro romanzi come incantatori di serpenti. E resti lì, senza scampo, preso nelle loro trame, così fuori posto, così umane.