Prefazione

La trasparente discrezione del blu
C'è qualcosa di rotto nella scrittura di Elena Cardillo
eppure di già risanato. La rottura è evidente nella forma, spezzata in brani e
in versi senza filo, e nel contenuto, in cui il presente è per lo più amaro e
l'euforia è solo una promessa passata. Ma l'operazione di scrittura, che mette
in scena i resti, permette all'autrice anche di incollarli insieme, le
garantisce una distanza che attutisce le asperità. Il male di vivere infatti
non è mai presente, è solo prossimo, in un tempo appena passato, o in uno
spazio limitrofo ("un temporale color inchiostro, solcato da saette
silenziose per la lontananza"). Così la disforia è sempre discreta, delimitata:
come per la lucertola, a rivelarla è una coda che manca o già sostituita.
Il segreto di questa scrittura è dunque nella scollatura
dello sguardo, che è sempre "da lontano" etnografico: sicché i tagli
e le lacerazioni del quotidiano sono come legati, imbavagliati, tradotti in
definitiva in una atmosfera rarefatta, umbratile, soffusa di rumori tenui (il
silenzio del blu).
Vorrei sottolineare almeno due principi ordinativi di
questo mondo evanescente. Il primo è quello dell'opposizione tra il cielo e la
terra: congiunti, come in certi miti dell'America del sud, dalla pioggia ("Infine
al pioggia...ha sciolto ogni tensione e ha ricongiunto il cielo alla
terra"), ma anche dai sogni, entità celesti destinate a infrangersi, ma
"che precipitano sulla terra e che diventano piante con radici e danno
frutti". L'altro riguarda il corpo, un corpo ridotto al pulsare ritmico
e vitale del respiro (del sogno, dei fratelli addormentati, spiato dalla
luna...), permeabile solo a odori (di olivo...) e profumi (di
saggezza, della terra, incontenibili…). Qualche volta questo corpo è maturo
e vissuto dall'interno ed è allora un corpo tutto femminile, aperto a
dilatazioni (vedi "Le donne della mia vita", i ricordi di
quella notte inesistente), mentre altre si configura come asprezza virginale ("Eravamo
celebrità che esibivano il loro splendore domenicale, belle e radiose, come mai
durante la settimana").
Soffermarsi su queste osservazioni, che sfilacciano il
tessuto di un testo che è prima di tutto un modo di attraversare la vita, è però
inopportuno.
Meglio è seguire Cardillo nel suo viaggio, che, si noti,
inizia di notte, in automobile, verso un'alba "che arrivava ormai vicino
al mare" e termina, sempre in automobile, sul finire del giorno, dopo una
visita a una casa circondariale, sotto un arcobaleno che separa l'azzurro dal
nero.
"Mi piace pensare che davvero ai piedi dell'iride ci
sia al pentola d'oro" è il pensiero conclusivo dell'autrice.
A lei e ai suoi lettori raccomandiamo di non smettere mai
di cercarla.
Maurizio Del Ninno*
*È stato professore di Antropologia culturale e Semiotica presso la Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo".