Prefazione

23.04.2023

La trasparente discrezione del blu

C'è qualcosa di rotto nella scrittura di Elena Cardillo eppure di già risanato. La rottura è evidente nella forma, spezzata in brani e in versi senza filo, e nel contenuto, in cui il presente è per lo più amaro e l'euforia è solo una promessa passata. Ma l'operazione di scrittura, che mette in scena i resti, permette all'autrice anche di incollarli insieme, le garantisce una distanza che attutisce le asperità. Il male di vivere infatti non è mai presente, è solo prossimo, in un tempo appena passato, o in uno spazio limitrofo ("un temporale color inchiostro, solcato da saette silenziose per la lontananza"). Così la disforia è sempre discreta, delimitata: come per la lucertola, a rivelarla è una coda che manca o già sostituita.
Il segreto di questa scrittura è dunque nella scollatura dello sguardo, che è sempre "da lontano" etnografico: sicché i tagli e le lacerazioni del quotidiano sono come legati, imbavagliati, tradotti in definitiva in una atmosfera rarefatta, umbratile, soffusa di rumori tenui (il silenzio del blu).
Vorrei sottolineare almeno due principi ordinativi di questo mondo evanescente. Il primo è quello dell'opposizione tra il cielo e la terra: congiunti, come in certi miti dell'America del sud, dalla pioggia ("Infine al pioggia...ha sciolto ogni tensione e ha ricongiunto il cielo alla terra"), ma anche dai sogni, entità celesti destinate a infrangersi, ma "che precipitano sulla terra e che diventano piante con radici e danno frutti". L'altro riguarda il corpo, un corpo ridotto al pulsare ritmico e vitale del respiro (del sogno, dei fratelli addormentati, spiato dalla luna...), permeabile solo a odori (di olivo...) e profumi (di saggezza, della terra, incontenibili…). Qualche volta questo corpo è maturo e vissuto dall'interno ed è allora un corpo tutto femminile, aperto a dilatazioni (vedi "Le donne della mia vita", i ricordi di quella notte inesistente), mentre altre si configura come asprezza virginale ("Eravamo celebrità che esibivano il loro splendore domenicale, belle e radiose, come mai durante la settimana").
Soffermarsi su queste osservazioni, che sfilacciano il tessuto di un testo che è prima di tutto un modo di attraversare la vita, è però inopportuno.
Meglio è seguire Cardillo nel suo viaggio, che, si noti, inizia di notte, in automobile, verso un'alba "che arrivava ormai vicino al mare" e termina, sempre in automobile, sul finire del giorno, dopo una visita a una casa circondariale, sotto un arcobaleno che separa l'azzurro dal nero.
"Mi piace pensare che davvero ai piedi dell'iride ci sia al pentola d'oro" è il pensiero conclusivo dell'autrice.
A lei e ai suoi lettori raccomandiamo di non smettere mai di cercarla.

Maurizio Del Ninno*

*È stato professore di Antropologia culturale e Semiotica presso la Facoltà di Sociologia dell'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo".