“Quell’antico ragazzo” era Cesare Pavese. Nella biografia di Lorenzo Mondo

19.03.2023

"Oh da quando ho giocato ai pirati malesi,
quanto tempo è trascorso. E dall'ultima volta
che son sceso a bagnarmi in un punto mortale
e ho inseguito un compagno di giochi su un albero
spaccandone i bei rami e ho rotta la testa
a un rivale e son stato picchiato,
quanta vita è trascorsa. Altri giorni, altri giochi,
altri squassi del sangue dinanzi a rivali
più elusivi: i pensieri ed i sogni.
La città mi ha insegnato infinite paure:
una folla, una strada mi han fatto tremare,
un pensiero talvolta, spiato su un viso.
Sento ancora negli occhi la luce beffarda
dai lampioni a migliaia sul gran scalpiccío".

È un frammento della poesia "I mari del sud" di Cesare Pavese. Scritta nel 1930 e dedicata ad Augusto Monti, docente di letteratura al Liceo D'Azeglio di Torino dove Pavese ha studiato e punto di riferimento essenziale per lo scrittore, durante la sua intera esistenza.

Parto da qui per dire qualcosa sulla bellissima biografia scritta da Lorenzo Mondo, "Quell'antico ragazzo. Vita di Cesare Pavese", uscita per Rizzoli nel 2006 e nella nuova edizione 2021 per Guanda, arricchita da un capitolo dedicato al "Taccuino segreto 1942-43", ritrovato proprio da Mondo durante i suoi profondi e appassionati studi su Pavese. Il critico, scrittore e giornalista torinese è stato una voce forte e mite tra le costellazioni intellettuali d'Italia; è stato, soprattutto, uno studioso di Cesare Pavese e di Beppe Fenoglio (così come per il "Taccuino segreto" di Pavese, a Mondo si deve il ritrovamento del manoscritto di "Una questione privata" di Fenoglio, pubblicato poi postumo).

Un giro lungo di parole il mio, ma quel che conta è il volume di Mondo, un tratteggio preciso, ricco di voci, scenari, lettura accurata di testi, lettere, conversazioni, insomma fonti inestimabili che, tutte insieme, restituiscono la vita di Cesare Pavese.
Può sembrare ambizioso. Forse lo è sempre quando si parla di biografie illustri, o di biografie e basta, non importa quanto illustri.
Come si restituisce una vita? Una domanda fatta con un sussurro e che per me trova, e ha trovato in alcune felici circostanze, risposta nelle biografie stesse.
Lorenzo Mondo ci ha lasciato lo scorso anno, era aprile 2022. Di lui hanno scritto un ricordo delicato, lucido e amorevole, Ernesto Ferrero e Alessandro Mondo, figlio di Lorenzo, con due articoli diversissimi e densi, entrambi usciti il 20 aprile su La Stampa di Torino (si veda "Lorenzo Mondo, il padre delle colline" e "Lorenzo Mondo era mio padre, e aveva le mani grandi di chi sa toccare la terra").

Torino. Il centro dell'universo letterario per tante ragioni. Lo era e in parte lo è ancora. Ma certo, lo è stato nella prima metà abbondante del Novecento.
Le colline. Anche loro sono al centro dell'universo. Ruotano e si danno il cambio con la città industriale e industriosa.
Torino e le colline sono due preziose ambivalenze per Cesare Pavese come per Lorenzo Mondo.
Sono due bolle, due misuratori, due dimensioni del vivere e della fatica a farlo.
Questo vale certo per Pavese. Uomo inquieto, ricchissimo di parole, pensieri che andavano assolutamente scritti, narrazioni che pigliavano forma dai suoi "squieti"; un malessere profondo, inafferrabile, inconsolabile, placato come si sa il 27 agosto 1950, in una camera d'albergo a Torino.

Ho sempre amato Pavese. Forse per questi "squieti" che lo tenevano lontano da tutto – eppure gli girava intorno una vita piena, un fermento di amici, scrittori, editori, uomini e donne fatti per pensare e non stare quieti nel mondo.
Allievo di Monti, compagno di Leone Ginzburg, Giulio Carlo Argan, Norberto Bobbio e altri nella giovanile "confraternita" che li ha tenuti insieme negli anni degli studi; poi L'Einaudi, con Giulio (il grande guru, scontroso, granitico e impagabile), Italo Calvino, Natalia Ginzburg, e via via una folla vitale custode delle parole.
Cesare Pavese stava lì, con loro, eppure ad un tempo non era lì con loro. Scriveva, pativa, amava. Era una roccia fragile. Eppure roccia.
Ha sognato e desiderato il mondo. Lo ha fatto per lo più dalle pagine scritte. Ha scoperto l'America, la letteratura americana: ne è nata una passione compiuta, assoluta, per alcuni scrittori di cui ha tradotto le opere, portandole all'attenzione dei lettori italiani (una su tutte, "Moby Dick" di Herman Melville); ha desiderato viaggiare, lavorare, stare nel continente americano, senza riuscirci. Ha continuato a desiderare e amare molte cose. Tutte le ritroviamo nel suo scrivere e vivere.

Non resta che cercarlo Pavese, di continuo nelle pagine dei suoi scritti. Cercarlo in volumi come la biografia di Mondo, che ha proprio azzeccato il titolo (non c'è da stupirsi) "Quell'antico ragazzo" è Pavese, con la pipa, la piega rigorosa in testa, le lenti leggere, capace di raccontare il mondo, i luoghi del suo vagare, le fasi della vita (come se le avesse vissute tutte), e ancora… "I mari del sud".