Un sentiero piccolo piccolo

07.04.2023

San Lorenzo è un luogo appartato.
Ancora oggi mi domando se esiste veramente o se l'ho immaginato.
Si esce da Urbino e si prende la strada per Carpegna. È un saliscendi armonico di colline rotonde che sembrano fatte con il compasso.
Ci vuole una mezz'ora di macchina, prima si passa Pieve di Cagna e il bivio per la Miniera, si va sempre dritti superando quei due o tre grumi di case, e poi, si deve fare attenzione perché come niente ti passa davanti e non lo vedi il bivio per San Lorenzo.
La strada è un viottolo di terra battuta che, se c'è la nebbia o la neve d'inverno, devi farlo a due all'ora. Non certo per il rischio di cozzare con altre auto, no davvero, il passaggio umano è una rarità a San Lorenzo, ma per via che se ti distrai esci fuori e ti pianti.
Corri per neanche un chilometro, ed è lì sulla destra. Un'aia, per la verità piccola, protegge la casa. La pietra è vecchia e solida, tre scalini danno sulla porta, lunga e stretta. È tutto senza pretese, per questo mi piace.
San Lorenzo era una chiesa secoli fa. Sul lato destro della casa se ne vedono i resti. I muri esterni sono diroccati, la pavimentazione è praticamente scomparsa, si apre in grandi buchi scoperchiati che mostrano resti di scheletri quasi pietrificati.
Ma non ha nulla di macabro San Lorenzo. È un luogo senza memoria aperto agli sguardi; ne passano pochi per fortuna.
A sinistra, se si gira intorno alla casa, c'è un prato chiuso da alberi e ancora un pezzo di edificio con un'apertura che porta giù nella cripta. Una grotta rivestita di pietra bianca, ci sono scesa una volta e, anche se non c'era luce, la roccia mandava una fluorescenza irreale.
Ma neanche lì ho percepito umori spettrali.
Forse perché a me San Lorenzo sembra un fiore tra le colline e non riesco a sentire la sacralità ultraterrena che gli apparteneva, e il mistero che l'avvolge mi pare più uno scherzo della natura, un errore di scrittura sulla mappa topografica del posto, che uno squarcio tetro nei secoli.
Oppure sono i ricordi che lo riportano al presente pieno di luce ad esorcizzare la solitudine del posto.
C'era un grande fuoco in mezzo al prato, era una notte d'estate.
Sull'aia davanti alla casa un tavolaccio di legno offriva vino e cibo buono. Dall'interno arrivava una musica sottile, quasi indistinguibile, serviva solo a dare presenza, segno umano.
E noi eravamo evanescenti.
Era una festa di congedo, ma nessuno ci pensava, e ancor di più, nessuno pensava che sarebbe stato un congedo definitivo.
Siamo rimasti tutta la notte a guardare le ombre che non si accontentavano della luce lunare fortissima e tonda. Ci voleva anche il grande fuoco che scaldava l'aria e, se mai era possibile, la faceva evaporare assieme ai nostri pensieri.
E se non c'era il fuoco, come l'avrei visto quel viso di vecchio tra le fiamme? Era apparso all'improvviso dal nulla. Forse l'avevo costruito io insistendo con lo sguardo a seguire il movimento del falò, ma continuava a guardarmi quel vecchio, e li fuoco non lo consumava.
No, non bastava la luna e neanche le stelle... erano milioni le stelle.
Chissà perché le stelle sopra i colli urbinati parevano sempre più grandi che negli altri posti, e più vicine.

Ricordi quando scendevamo fino a casa, là in via Pellipario, in piena notte, e stavamo così, a bocca aperta e senza fiato a guardarle quelle stelle. E a volte sfilavano come comete, e noi zitte a costruire desideri senza dirli per non sciuparli.
Ricordi che lo dicevamo - un giorno ci mancherà questo cielo finto che non sta da nessun'altra parte.
Tante volte lo abbiamo ricordato, ma non credo che ci manchi. Forse perché ne abbiamo visti altri,
e ovunque andiamo, non so perché, ce n'è uno per noi.
Oggi, a ripensarci, vedo quel momento di distacco malinconico come il miglior modo di dirci addio.
Non sento il bisogno di ritornare su quei giorni, non mi mancano i luoghi e le persone, non sento legami.
E di tutti i profili che la memoria delinea e delle voci e dei profumi - che in verità erano tanti - ricordo solo quelli di San Lorenzo. Intendo dire proprio quelli della casa, delle pietre, dell'erba circostante e degli scorci che, se scostavi qualche ramo, si aprivano immensi e armonici a ricordare che intorno c'era il mondo.
Delle persone resta un segno sfumato di carboncino, una pennellata solo accennata, fatta per lasciar intuire una presenza.
Di loro, compagni di studi e di parole, quelli essenziali li ritrovo in altri luoghi. Di sicuro ritrovo te, soprattutto nei pensieri e nei tempi che ci concediamo per non sentirlo questo brusio fastidioso che copre l'aria e il passo silenzioso.
Gli altri si perdono dietro San Lorenzo, e forse con San Lorenzo, che in fondo a pensarci bene è tanto affascinante solo per la distanza, come un posto irraggiungibile, dove sono passata un giorno e non dimenticherò più la strada.
La vedo dall'alto come se ci volassi sopra, ma andarci sarebbe inopportuno, un'interferenza nella memoria e nell'aria che fa respirare quel ritaglio di tempo.