"Viaggio nell’Italia dell’Antropocene". Conversazione con Telmo Pievani su futuro distopico e presente antropico

14.02.2023

Telmo Pievani ha la voce calma e tersa.
Parliamo del suo libro, "Viaggio nell'Italia dell'Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro" (Edizioni Aboca), per raccontare lo scenario difficile che l'umanità sta predisponendo per l'orizzonte della Terra.
Il libro è un romanzo e un saggio scritto con Mauro Varotto, docente di Geografia all'Università degli Studi di Padova.
Lui, Telmo Pievani, invece, insegna Filosofia delle scienze biologiche nello stesso ateneo ed è uno dei più conosciuti divulgatori scientifici.
La scintilla è stata la visione (quasi casuale) di una mappa disegnata nel 1940 dal geografo Bruno Castiglioni, conservata nella sala dedicata al Clima del Museo di Geografica dell'Università di Padova: mostra due Italie, la prima è una penisola esilissima alla fine del Pliocene (2,5 milioni di anni fa), l'altra è un territorio tozzo durante l'ultimo periodo glaciale (20 mila anni fa). Due immagini diversissime della stessa parte di mondo.
È da questa suggestione che Telmo Pievani e Mauro Varotto hanno deciso di proiettare l'Italia nel 2786, esattamente mille anni dopo il Viaggio in Italia che Johann Wolfgang von Goethe iniziò nel 1786 (e che nei primi anni dell'Ottocento divenne uno squisito saggio).
Come Goethe, il viaggiatore Milordo attraversa l'Italia in un Grand Tour da nord a sud, ma è l'Italia di mille anni dopo, un territorio trasformato, assottigliato, sommerso, dove la Pianura Padana non esiste più, il Po sfocia nel mare prima di Piacenza, le coste adriatiche spuntano come fiordi norvegesi, quelle tirreniche, ritraendosi, si sono moltiplicate in golfi e lagune, il Monte Circeo è un'isola, la Sardegna almeno due, il tacco salentino tre.
Il libro apre a scenari improbabili ma possibili, come gli autori stessi precisano. E questa idea di eventi improbabili ma possibili scatena mille pensieri, soprattutto se parametrata all'intero mondo, al pianeta Terra.
Qualcosa di improbabile ma possibile è avventuroso e lontano, impalpabile e concreto, visionario e percettibile.
Il lavoro di Telmo Pievani sta in una dimensione ibrida (lo dice lui stesso) e riguarda gli esseri umani come corpi biologici, come soggetti sociali con pensieri, interazioni, collisioni, e come esseri che occupano la Terra e, ormai da un certo tempo, la dominano. Al punto che lei, la Terra, sta uscendo dall'epoca che chiamiamo Olocene per entrare in quella dell'Antropocene, l'epoca in cui l'elemento che più di tutti gli altri la controlla, modifica, condiziona, plasma, è l'uomo.
C'è da riflettere un bel po'. Soprattutto perché il modo in cui l'umanità incide sul pianeta è erosivo e molto veloce.
Tra le tante riflessioni che arrivano dal mondo scientifico, artistico, politico, Viaggio nell'Italia dell'Antropocene ha il dono della chiarezza e offre una propulsione in avanti che, seppure visionaria, è realistica. Non solo, il libro procede su tre registri (il romanzo, il saggio, la cartografia) che si alternano, danno ritmo alla narrazione e ai pensieri, e delineano un luogo distopico improbabile ma possibile.
Lo cogliamo, capitolo dopo capitolo, nella narrazione romanzesca e avvincente del gentiluomo Milordo, scritta da Telmo Pievani, alternata alle riflessioni scientifiche di Mauro Varotto che, da geografo, restituisce nei suoi capitoli un saggio rigoroso, e punteggiata dalle mappe disegnate da Francesco Ferrarese, stese sulle pagine per guidare il lettore in questo viaggio trasfigurato e futuribile.
I tre registri, insieme, hanno un effetto dirompente, dove il paesaggio fantastico e distopico, il linguaggio empirico e la bellissima cartografia, restituiscono una possibile geografia fisica, sociale ed etica dell'Italia.
L'Italia dell'Antropocene.

Professor Pievani, di cosa si occupa un filosofo delle scienze biologiche?

(Sorride). Il filosofo della biologia è una figura ibrida, strana, a metà strada tra scienza e filosofia. Sono biologo evoluzionista e lavoro in un dipartimento di biologia, faccio anche ricerca scientifica e le mie pubblicazioni sono principalmente di evoluzione, però con un occhio filosofico. Mi occupo del metodo scientifico, del mestiere che fanno i biologi, degli aspetti etici, molto importanti nelle scienze della vita. E mi occupo molto di comunicazione, nel senso che il filosofo oggi può aiutare lo scienziato nel costruire le sue argomentazioni, nel comunicare le sue idee, nel confrontarsi con gli altri.

Quando ho visto la copertina del libro, il primo pensiero è stato: beh, anche senza sapere di cosa parla, si rimane folgorati dall'immagine di un'Italia trasformata, ristretta, frastagliata e, soprattutto, dove il grande triangolo della Pianura Padana è completamente scomparso, sommerso dal mare. Fa riflettere...

La stessa sensazione la dà il libro. Le mappe geografiche hanno un grande potere, mi piacciono moltissimo, mi ipnotizzano da quando ero bambino. Hanno un linguaggio intuitivo, raccontano tante cose e l'effetto di quella mappa dell'Italia in copertina sta nel fatto che è disegnata con tutti i crismi delle carte geografiche del nostro paese, la capisci, però ti accorgi subito che c'è qualcosa che non va: la Pianura Padana non c'è più, le coste sono molto diverse e si genera un effetto di straniamento, uno spaesamento che è, secondo me, il segreto della divulgazione. Quando vuoi far arrivare un messaggio, devi sempre cercare delle chiavi di lettura per sorprendere il lettore, anche perché di libri sull'Antropocene ne sono usciti tanti. Però, quando Mauro Varotto e Francesco Ferrarese mi hanno fatto vedere quasi per gioco la mappa del geografo Bruno Castiglioni, ho detto: beh, questo è un libro, perché ha tutte le caratteristiche per essere una buona chiave di lettura divulgativa, per far passare un messaggio.

Dalle prime pagine di questo viaggio capiamo di avere davanti uno scenario paradossale. Veniamo catapultati di mille anni, nel 2786, quando il gentiluomo Milordo attraversa l'Italia come ha fatto Goethe nel 1786, ma è un viaggio molto diverso. Cos'hanno in comune i due viaggiatori?

L'idea di fondo del libro era mescolare linguaggi diversi, una tecnica che trovo sempre efficace. In questo caso sono tre: le mappe che parlano da sole, la scienza nei capitoli di Mauro Varotto, infine mi piaceva l'idea di avere un linguaggio narrativo, romanzesco, un po' picaresco per il viaggio in Italia e, naturalmente, ho pensato immediatamente al Grand Tour che facevano i gentiluomini e le gentildonne europee nel Settecento e nell'Ottocento. Il resto è venuto un po' di conseguenza: esistono mappe realizzate dai miei colleghi, ambientate tra il 2800 e il 3000, ed ecco che abbiamo pensato di collocare il viaggio di Milordo nel 2786, mille anni dopo il viaggio di Goethe. Il gioco funziona, nel senso che si creano una serie di rimandi: Milordo ripercorre quel giro alla ricerca delle stesse cose (nel 1786 Goethe cercava le suggestioni romantiche, l'archeologia, studiava i costumi degli italiani), solo che mille anni dopo la sua archeologia siamo noi nel 2021. Mauro Varotto segue questo gioco: raccontare un futuro molto lontano e distopico che nessuno vuole si realizzi, però attenzione perché, a guardare bene, quei processi iniziamo a viverli adesso, nel 2021: desertificazione, dissesto idrogeologico, ghiacciai che si fondono. Questo è il messaggio tra le righe.

Nella prefazione al libro fate riferimento a questo quando dite che si tratta di un futuro improbabile ma possibile. Il gioco tra improbabile e possibile è molto sottile e pensando all'impatto sulla Terra ha un sapore un po' inquietante.

È quello che fanno gli scienziati adesso. In ambito scientifico le chiamiamo proiezioni, ma le proiezioni non sono previsioni, non dicono cosa succederà, piuttosto dicono che andando avanti senza fare nulla per combattere il riscaldamento climatico, considerando tutte le evenienze più negative possibili, nel peggiore dei casi andrà così. È una proiezione esagerata e, ovviamente, molto improbabile, ma serve a far capire che ci sono tanti scenari possibili e questo è il peggiore. Nel caso del libro siamo molto in là nel tempo, ma questo è il mestiere che fa l'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, ndr), il Panel mondiale sul clima, quando presenta gli scenari da qui al 2050, avvisando che senza fare nulla per contenere il riscaldamento climatico, avremo circa 2,5 gradi in più; e a partire da questo indica gli scenari al 2100.

Seguendo il viaggio di Milordo si colgono mille dettagli del territorio italiano, con città sommerse o diventate costiere, addirittura città spostate, sopraelevate; e ancora, sono descritti i flussi, gli spostamenti delle persone migrate per trovare riparo nelle zone meno calde del paese. Tutto questo ci offre uno scenario possibile, non solo geografico, ma anche sociale dell'Italia tra mille anni.

È così. Non si tratta di una fiction fantascientifica. Per delineare questo scenario ci siamo confrontati con molti colleghi - biologi marini, demografi, esperti di tecnologie - perché tutti gli scenari che ho inserito nella parte letteraria, discussi con Mauro Varotto, sono plausibili, sono quelli che davvero gli scienziati si aspettano per il futuro. Dunque, abbiamo immaginato che gli italiani abbiano sofferto moltissimo per i cambiamenti dovuti al riscaldamento climatico, ma ce l'abbiano fatta. Non sono solo sopravvissuti, hanno trovato dei modi per riuscire a convivere con un'Italia molto diversa, ristretta e più difficile da abitare: desertificata a sud e con grandi città incastrate nelle montagne a nord. Abbiamo valutato gli scenari plausibili legati allo sviluppo tecnologico ma anche a quello sociale. I demografi ci hanno detto di immaginare le città come grandi agglomerati urbani dove la gente si ammasserà per la riduzione del territorio, costellato da isole di calore terribile (dobbiamo pensare il pianeta più caldo di 4-5-6 gradi in media, tantissimo). Serve aria condizionata ma non basta, bisogna prevedere città costruite con materiali diversi da quelli attuali, riflettenti che rinfreschino gli interni. Abbiamo immaginato un'Italia ipogea, che torna a vivere sottoterra, dove è possibile controllare di più la temperatura. Naturalmente abbiamo pensato all'idrogeno, alle energie rinnovabili, insomma agli scenari tecnologici che gli scienziati ritengono ci potranno aiutare a sopravvivere. Però, nel libro non volevamo dare l'idea che ce la caveremo solo con le tecnologie, non siamo d'accordo su questo, sarebbe un alibi. Noi diciamo: l'Italia e gli italiani ce la fanno ma hanno pagato un prezzo durissimo. È bene ricordare che il climate change è un cambiamento ambientale che rischia di costarci molto caro in termini umani di salute, di migrazioni forzate. È una cosa dolorosa, quindi bisogna fare presto e fare molto di più per mitigare questo processo.

Questo fa pensare a quanto uno scenario così estremo sia sostenibile, soprattutto guardando le mappe del libro. La Pianura Padana, cioè la parte più antropizzata dell'Italia, è completamente scomparsa in termini di territorio e di città, sommerse dall'Adriatico. Quanto è sostenibile un tale orizzonte sul piano umano, sociale, un piano che riguarda anche interazioni, emozioni e sentimenti?

Ora noi lo vediamo fotografato in una mappa, ma dobbiamo immaginarlo come un processo durato molti secoli, dunque, per fortuna o purtroppo, ha richiesto tanto tempo. I demografi ci hanno detto di visualizzare una situazione in cui via via molte terre vengono salinizzate (una cosa che sta già succedendo, proprio qui nel Delta del Po, dove le infiltrazioni di acqua salata penetrano sempre più all'interno), inevitabilmente si formano paludi, l'acqua sale e minaccia le prime città: Padova, Rovigo, Ferrara, Ravenna. A quel punto, due scenari: la fuga con la popolazione che si concentra in città come Belluno, Trento, Bolzano trasformate in metropoli, per non parlare di Milano; in altri casi abbiamo immaginato che piano piano le città dell'Emilia, attraverso le tecnologie attuali e future, si sollevano, diventano palafitticole; stessa cosa per Verona che diventa una nuova Venezia. In questo caso le città avranno avuto molto tempo prima dell'arrivo dell'acqua per trovare delle soluzioni, fare argine e fare in modo che la popolazione in parte riesca a rimanere. Per fuggire dal caldo, dobbiamo anche aspettarci un Appennino iperabitato e considerare gli aspetti sociali, soprattutto le diseguaglianze tra le persone più umili accalcate nelle grandi città della pianura e i più ricchi che si possono spostare in collina. È un modo metaforico per ricordare che il climate change è anche un grande tema sociale, oltre che ambientale: i dati ce lo dicono già, il climate change genera ingiustizia sociale, aumenta i conflitti. È bene ricordarlo perché sta già succedendo, anche se noi per ora siamo un po' al riparo, ma chissà per quanto.

Dunque, l'umanità ce la fa per la sua capacità di adattamento.

Sì, ed è importante, perché ci sono segnali un po' distorti in questo momento: evitiamo l'estinzione, salviamo il pianeta. In realtà è fuori discussione che noi sopravviveremo anche a questo cambiamento; l'uomo ha grandi capacità di resistenza, adattamento e ha una sensibilità comportamentale straordinaria. Dunque, non è in discussione la nostra estinzione e anche il pianeta tutto sommato se la caverà, nel senso che la biodiversità ha capacità di recupero anche in condizioni estreme, lo ha già dimostrato in passato. Mi occupo di evoluzione e queste cose si vedono chiaramente. Il vero tema non è questo secondo noi, ma: quale sarà il costo sociale, economico, umano di questo cambiamento? Abbiamo un'etica, una visione sociale, quindi il grande tema è: quanto dovremo pagare in termini umani per questo cambiamento? Questa è la grande drammatica domanda. Anche la pandemia è un prezzo che paghiamo per la distruzione dell'ambiente, per la nostra incapacità di vivere in condizioni più armoniose con la biodiversità e con l'ambiente.

Pensando alla capacità di adattamento, quest'anno ricorrono i settant'anni dalla grande alluvione del Polesine nel 1951. Anche quello, seppur concentrato in un'area precisa, è stato un momento di forte cambiamento del territorio; un evento drammatico dal quale la popolazione è riemersa con fatica e con forza. Il Polesine e il Delta da secoli subiscono trasformazioni forzate che hanno inciso sulla vita delle persone. Però a tutto questo le popolazioni si sono sempre adattate.

È così. Quello del Polesine è un territorio che studiamo. Tra l'altro, i fenomeni legati ai cambiamenti climatici si studiano sui decenni e sui secoli, quindi 1951 - 2021 è un lasso di tempo interessante e pertinente per osservare i cambiamenti del clima. Nel 1951 quelli erano fenomeni parossistici, estremi e possibili, come ci sono sempre stati. Quello che però è cambiato oggi è l'aumento della loro frequenza. Le alluvioni ci sono sempre state, il problema fondamentale è che non sono più un'eccezione. Adesso ogni pioggia è una bomba d'acqua. A questo dobbiamo purtroppo abituarci, ma non c'è ancora la percezione che questa sarà la normalità perché, appunto, i cambiamenti climatici hanno un'inerzia molto lunga. Voglio dire che non è facendo qualche piccola azione per ridurre la CO2 che diminuirà la frequenza delle alluvioni. Dovremo abituarci ad una situazione di clima più violento. Un altro messaggio del libro: il climate change non è il futuro, è il presente e dobbiamo esserne più consapevoli.

Dunque, la velocità dei cambiamenti è uno dei dati preoccupanti.

Assolutamente sì. Aggiunto ad un altro dato preoccupante che ci fa riflettere sul piano psicologico e sociale: tutto questo era stato ampiamente previsto, era scritto nei modelli, nelle proiezioni che si facevano negli anni Settanta e Ottanta, perché di climate change si parla esattamente dalla fine degli anni Sessanta. Sapevamo che con il superamento di 1-1,2 gradi della temperatura (com'è esattamente adesso), ci sarebbe stata una dinamica di questo tipo. E sappiamo benissimo cosa succederà quando arriveremo a un aumento di 2-2,5 gradi. Quindi le domande sono: perché non abbiamo fatto abbastanza finora? stiamo per fare abbastanza adesso?

Questo ci riporta ad una parola che lei ha usato all'inizio di questa conversazione: etica. Le riflessioni sono importanti ma l'etica dovrebbe prevedere che le riflessioni si applichino alla vita, altrimenti l'etica dove sta? Non può essere solo nei pensieri.

Dobbiamo sapere che si deve agire a più livelli: quello tecnico e scientifico, quello politico, quello etico, cioè quello che cambia i comportamenti individuali e fa la differenza.

Conversazione con Telmo Pievani, docente e scrittore
pubblicata nella rivista REM, Anno XII, n. 2/3 del 15 settembre 2021, Apogeo Editore pp. 36-41